mercoledì 8 giugno 2011

ALBICOCCHE


Nel 79 d.c. il Vesuvio, diede vita ad una terrificante eruzione che seminò morte e distruzione ovunque. Le città simbolo di quel catastrofico evento furono Pompei ed Ercolano, dove oggi è possibile visitare due tra i più importanti siti archeologici mondiali.
Ma se da un lato la natura aveva distrutto e seminato morte, dall'altro aveva reso un importante servigio all'umanità. Infatti da quella coltre lavica era nato un terreno ricco di minerali e quindi utile per la coltivazione di molti frutti ed ortaggi.
Difatti il territorio vesuviano che si estende lungo tutte le pendici del vulcano, fino al mare è ricco di varie coltivazioni, tra cui spiccano il pomodorino del piennolo e l'albicocca vesuviana, entrambi fregiati dei marchi DOP per l'uno e IGP per l'altra.
L'albicocca vesuviana si distingue in diversi biotipi che nascono però tutti nella stessa zona, dove il terreno è particolarmente ricco di potassio. I più noti sono la palummella, vitillo, pellecchiela, boccuccia liscia, boccuccia spinosa, portici e ceccona.
Tutte sono particolarmente dolci e profumate, hanno un colore vivace e sono di dimensioni medio grosse, ricche in potassio, vitamine B e C, quindi particolarmente adatte per il periodo estivo in cui si suda molto, con un conseguente dispendio di sali minerali, dunque quale migliore integratore di una scolpacciata di albicocche del vesuvio.
Il periodo di maturazione è giugno, per questo nei nostri mercati già si vendono in abbondanza. Il loro consumo è prevalentemente fresco, ma spesso quando l'annata è particolarmente generosa, se ne destina una parte per le confetture o per essere essiccate.
La ceccona è tipica della zona di Ercolano, che risulta la cittadina vesuviana con più alto quantitativo di produzione di albicocche, mentre la Campania la regione italiana più importante nella coltivazione di questo frutto, al quale è andato il riconoscimento IGP per l'utilizzo esclusivo di sistemi di produzione tradizionale.
Storicamente la presenza in Campania dell'albicocco è testimoniata dallo scienziato Della Porta, che nel 1583 le descrive in una sua opera, con il nome bicocche e crisomele, così chiamate ancora oggi in dialetto napoletano "crisommole", dal greco Kruson-dorato e melon-mela, ossia pomo dorato.

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