Perché era venuto? Perché anche quella sera era tornato lì? Che cosa lo spingeva a mescolarsi, più tormentato che mai, alla folla dei semplici e degli schietti, a quella folla che gli si stringeva attorno eccitandolo, ma in realtà lasciandolo a margini? Oh, lo conosceva bene, quel desiderio! “Noi solitari”, così aveva scritto una volta, in un’ora di chiaroveggenza “noi segregati sognatori, diseredati dalla vita, che viviamo i nostri giorni arzigogolando in un esilio gelido e artificioso… noi che effondiamo intorno un freddo alone di uggia invincibile, non appena mostriamo in mezzo a esseri viventi le nostre fronti segnate dalla consapevolezza e dalla avidità… noi poveri spettri dell’esistenza, che gli altri abbordano con timoroso rispetto, per poi abbandonarci al più presto nuovamente a noi stessi, così che il nostro vuoto sguardo di onniscienti non turbi più oltre la gioia… tutti coviamo in noi un logorante, riposto struggimento per ciò che è ingenuo, semplice, vivo, la nostalgia per un poco d’amicizia, d’abbandono, di confidenza, di felicità umana. La ‘vita’, dalla quale siamo esclusi, non si presenta a noi anomali come anomalia, come una visione di sanguinosa grandezza o di bellezza selvaggia; no, il regno delle nostre aspirazioni è proprio la normalità, la decenza, l’amabilità, insomma, la vita nella sua banalità seducente..”
Guardò i due che stavano chiacchierando mentre ovunque nella sala cordiali risate interrompevano il suono dei clarinetti che sfigurava il dolce, affannoso motivo d’amore in accenti di svenevolezza assordante… Questo voi siete, disse tra sé. Siete la calda e soave assurdità della vita, di quella vita che è l’eterno contrapposto dello spirito. Non crediate al suo disprezzo; mai, mai prestate fede ai suoi atteggiamenti di sufficienza. Sotterranei coboldi, spiriti impuri ammutoliti nel conoscere, siamo noi a seguirvi di soppiatto, a distanza, e un desiderio divorante arde nei nostri occhi: essere come voi.
Ti ribelli, orgoglio? Vuoi negare la nostra solitudine? Vuoi dare ad intendere che la creazione spirituale garantisca all’amore una più alta unione coi vivi in tutti i luoghi e in tutti i tempi? Suvvia! A chi, a chi mai siamo uniti? Sempre e soltanto a nostri uguali, ai sofferenti, agli agognanti, ai miseri, e mai a voi occhiazzurrini, a voi che non avete bisogno dello spirito!
Ballavano, ora. Le improvvisazioni sulla scena erano terminate. L’orchestra strombettava, cantava, e le coppie scivolavano, giravano e ondeggiavano sul liscio pavimento. E Lilli ballava col piccolo pittore. Con quanta leggiadria la sua testina vezzosa emergeva dal calice del colletto rigido, ricamato d’argento! Elastici, snelli, si muovevano e piroettavano nello spazio ristretto; il viso di lui era rivolto al suo; e sorridenti, in sorvegliato abbandono alla dolce trivialità del ritmo, continuavano a chiacchierare.
Un gesto come di mani afferranti e plasmanti scaturì improvviso nel solitario. Nonostante tutto siete miei – pensava – nonostante tutto vi domino! Non posso forse guardare con un sorriso nel fondo delle vostre anime semplici? Non posso osservare e conservare in me, con irridente amorevolezza, ogni ingenuo movimento dei vostri corpi? E di fronte al vostro inconscio agitarvi non si tendono forse in me le energie della parola e dell’ironia, fino a farmi palpitare di un senso esultante di forza, del mio giocoso desiderio di raffigurarvi, di fissare nella luce della mia arte, per la commozione del mondo, la vostra insensata felicità?…
Ma subito, nel suo intimo, quel moto orgoglioso di ribellione ricadde esausto e pieno di rimpianto. Oh, per una volta sola, solo per una notte come questa, non essere artista, essere uomo! Sfuggire una volta alla condanna che inesorabile ingiungeva: non ti è concesso di esistere, ma di guardare; non di vivere, ma di creare; non di amare, ma di sapere! Una sola volta vivere, amare, gioire in schiettezza, in semplicità di sensi! Una volta essere tra voi, o creature viventi,essere in voi, essere voi! Conoscere per una volta l’estasi di assaporarvi, o voluttà della vita mediocre!
Thomas Mann – da: “Gli affamati”
Guardò i due che stavano chiacchierando mentre ovunque nella sala cordiali risate interrompevano il suono dei clarinetti che sfigurava il dolce, affannoso motivo d’amore in accenti di svenevolezza assordante… Questo voi siete, disse tra sé. Siete la calda e soave assurdità della vita, di quella vita che è l’eterno contrapposto dello spirito. Non crediate al suo disprezzo; mai, mai prestate fede ai suoi atteggiamenti di sufficienza. Sotterranei coboldi, spiriti impuri ammutoliti nel conoscere, siamo noi a seguirvi di soppiatto, a distanza, e un desiderio divorante arde nei nostri occhi: essere come voi.
Ti ribelli, orgoglio? Vuoi negare la nostra solitudine? Vuoi dare ad intendere che la creazione spirituale garantisca all’amore una più alta unione coi vivi in tutti i luoghi e in tutti i tempi? Suvvia! A chi, a chi mai siamo uniti? Sempre e soltanto a nostri uguali, ai sofferenti, agli agognanti, ai miseri, e mai a voi occhiazzurrini, a voi che non avete bisogno dello spirito!
Ballavano, ora. Le improvvisazioni sulla scena erano terminate. L’orchestra strombettava, cantava, e le coppie scivolavano, giravano e ondeggiavano sul liscio pavimento. E Lilli ballava col piccolo pittore. Con quanta leggiadria la sua testina vezzosa emergeva dal calice del colletto rigido, ricamato d’argento! Elastici, snelli, si muovevano e piroettavano nello spazio ristretto; il viso di lui era rivolto al suo; e sorridenti, in sorvegliato abbandono alla dolce trivialità del ritmo, continuavano a chiacchierare.
Un gesto come di mani afferranti e plasmanti scaturì improvviso nel solitario. Nonostante tutto siete miei – pensava – nonostante tutto vi domino! Non posso forse guardare con un sorriso nel fondo delle vostre anime semplici? Non posso osservare e conservare in me, con irridente amorevolezza, ogni ingenuo movimento dei vostri corpi? E di fronte al vostro inconscio agitarvi non si tendono forse in me le energie della parola e dell’ironia, fino a farmi palpitare di un senso esultante di forza, del mio giocoso desiderio di raffigurarvi, di fissare nella luce della mia arte, per la commozione del mondo, la vostra insensata felicità?…
Ma subito, nel suo intimo, quel moto orgoglioso di ribellione ricadde esausto e pieno di rimpianto. Oh, per una volta sola, solo per una notte come questa, non essere artista, essere uomo! Sfuggire una volta alla condanna che inesorabile ingiungeva: non ti è concesso di esistere, ma di guardare; non di vivere, ma di creare; non di amare, ma di sapere! Una sola volta vivere, amare, gioire in schiettezza, in semplicità di sensi! Una volta essere tra voi, o creature viventi,essere in voi, essere voi! Conoscere per una volta l’estasi di assaporarvi, o voluttà della vita mediocre!
Thomas Mann – da: “Gli affamati”
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